Voglio portare alla vostra attenzione un terribile fatto di cronaca che sconvolge non solo per la sua brutalità ma anche perché per quanto sia arduo trovare una ragione, o per dirla con termini più tecnici, il movente in un omicidio (a sangue freddo) qui si travalicano i confini della realtà. Per alcuni la vita vale meno del biglietto di un autobus.
Leandro Miguel Alcaraz è, anzi, era un conducente di autobus. Era, perché la sua vita ha avuto termine in una folle domenica sera del 15 aprile, quando a bordo dell’autobus, in località San Justo (Buenos Aires). Quel giorno, il povero Leandro Miguel Alcaraz non avrebbe neanche dovuto lavorare: era il suo giorno libero. Tuttavia aveva un’esigenza, restare a casa per il compleanno della sua bambina, quattro anni, e dunque aveva scambiato il giorno di riposo con un collega.
Il conducente incrocia i suoi assassini a una fermata dell’autobus, i due salgono ma non vogliono saperne di pagare il biglietto. Luis Miguel Alcaraz insiste, l’autobus resta fermo per qualche minuto e una donna, per risolvere la questione, decide di pagare lei per i due criminali, prendono posto e l’autobus finalmente può riprendere la sua corsa. La questione sembra essere finita lì.
L’autobus giunge in località Verry del Pino. I due uomini si alzano, vanno verso l’uscita, le porte si aprono ma proprio in quel momento uno dei delinquenti estrae una pistola e apre il fuoco. Spara due colpi, uno indirizzato al torace, l’altro alla testa. Leandro Miguel Alcaraz non muore subito, agonizza per alcuni minuti. Il suo corpo è riverso dal finestrino lato guida. È penzolante e rantola. I passeggeri sull’autobus scappano, le grida attirano la gente in strada. In breve si forma una folla di persone che guarda impotente quell’uomo esalare gli ultimi respiri di una vita assurdamente stroncata. Intanto gli assassini fanno perdere le loro tracce, non senza un senso di impunità, tipico di chi pretende di disporre della vita e della morte di chiunque.
L’assurdità del crimine aveva anche fatto pensare che la vittima conoscesse i suoi assassini, che si trattasse di un regolamento di conti. Ma questa era solo un’ipotesi investigativa per cercare di dare un senso a qualcosa che senso non ha. La vittima ha avuto la sola colpa di fare il suo dovere, di chiedere il biglietto (in vero si usa una carta prepagata), una richiesta che per i suoi assassini è stato un affronto imperdonabile.
In tutta questa storia, come spesso accade, i social network (ma anche gli organi di stampa che non hanno fatto le opportune verifiche) sono stati protagonisti in negativo. Poco dopo il brutale omicidio, ha iniziato a circolare la foto di quella che si credeva essere la vittima. In realtà si trattava di un collega e amico di Leandro Miguel Alcaraz. Così molti suoi cari hanno temuto che fosse stato lui l’uomo ucciso. Tranquillizzati i suoi familiari e amici che non era lui la vittima, l’uomo si è dovuto difendere dall’accusa di essere lui l’assassino; perché si sa, sui social network si fa presto a puntare il dito e così Cristian (questo il suo nome) per diverse ore ha temuto la vendetta di qualche giustiziere improvvisato.
Intanto i colleghi della vittima si sono fermati per 24 ore. Chiedono maggiore sicurezza a bordo degli autobus, telecamere e altre misure che possano funzionare da deterrente. Alle richieste degli autisti ha dato una prima risposta il ministro della Sicurezza Cristian Ritondo che a margine di un vertice con i sindacati ha assicurato che gli autobus impiegati durante il servizio notturno saranno dotati di telecamere e pulsanti antipanico per la richiesta immediata di soccorso. Tuttavia la misura appare ben poca cosa considerando che l’omicidio dell’autista è avvenuto quando c’era ancora la luce del giorno.
Sul fronte delle indagini, dopo il fermo di un sospettato risultato poi essere estraneo ai fatti, è stato diramato l’identikit di uno dei responsabili. Alla ricostruzione dei tratti somatici del presunto assassino si è giunti grazie alla testimonianza di una donna che si trovava a bordo dell’autobus.